-Dal diario di viaggio della nostra amica Paola.
Petra: in religioso silenzio ascoltate chi l’ha vista. Ognuno di noi ha un posto che vorrebbe vedere. Questo è uno di quei posti che prima o poi dovrò visitare.
“Uadi Musa, annuncia la guida giordana.
Uadi significa fiume; ci guardiamo con aria interrogativa perché non si vede una gocciad’acqua, ma è tardi, tutto si confonde di blu e di viola che diventano rapidamente sempre più grigi e non commentiamo. Abbiamo solo voglia di entrare in albergo, toglierci di dosso polvere e stanchezza ed andare a cena.
Quattro chiacchiere sul terazzo dopo cena, a guardare un nulla nero pieno di stelle e senza luna, con un vento tiepido e secco che non porta rumori o voci ma solo fruscii e poi, il sonno.
Il mattino seguente sveglia prima dell’alba, colazione, breve trasferimento esonerati dalla seccatura di acquistare il biglietto ( il bello di avere una guida è anche questo ) ci incamminiamo nel deserto ancora senza contatto con la realtà. Guardo con un filo di invidia quelli che mi passano accanto a cavallo al piccolo trotto… altri avanzano nella stessa direzione in calesse, ma mi sono indifferenti. Il tratto di deserto è breve: quasi all’improvviso mi trovo davanti ad una parete verticale di roccia ocra che sembra perfettamente chiusa; c’è solo una specie di crepa in cui la gente sparisce.
Ma allora, quando arriviamo?
Da vicino non è una crepa, è una fenditura larga come un carugio della vecchia Genova ma con pareti incredibilmente alte e quasi buia: il sole non arriva fino in fondo.
Continuiamo a camminare nell’ombra, questo è il Siq, che per secoli ha protetto gli occupanti dell’interno da predoni e aggressori di tutti i generi… Vediamo un occhio di sole sulla sabbia non molto più avanti di noi; possibile che sia bastato questo breve budello a proteggere dagli invasori?
Lo spazio si allarga di colpo, il sole arriva, i muri si accendono letteralmente: la roccia ha una varietà infinita di gialli, arancioni, rossi, cambiano orientamento e forma in continuazione man mano che si procede, compaiono abbozzi di facciate di templi, il canale in terracotta dell’acquedotto romano, guerrieri, dromedari e cavalli pietrificati per sempre… sono tre chilometri di meraviglia, ringraziando il momento in cui abbiamo rinunciato alla tentazione di cavalli e calessi. Bisogna guardare gustando adagio, passo dopo passo, finché il Siq si chiude di nuovo, bruscamente; ancora la sensazione di non capire continuando a camminare, nuovamente nell’ombra e poi, di colpo, eccola…!
PETRA, il primo tempio, il Tesoro…: uno slargo improvviso e di fronte quella facciata, vista, stravista in foto, film, documentari; dovresti aspettartela, la dovresti riconoscere, eppure no: è nuova, sconosciuta e sorprendente, è davanti a te e ti toglie il respiro, ti chiude la gola, ti fa lacrimare gli occhi… non riesci più a parlare, vedi le altre persone ma è come se non ci fossero; ti siedi su uno di quei lunghi sedili tagliati nella pietra non per stanchezza la camminata non è affatto faticosa ma perché non sei preparato ad un’emozione così e bisogna aspettare che passi… e capisci che anche per i tuoi compagni di viaggio è la stessa cosa.
Lentamente ritorniamo nella realtà e proseguiamo la visita, una visita che, mi accorgo, è una esplorazione in un mondo ‘altro’ … È un’intera città, c’è anche un anfiteatro, una lunga via colonnata e soprattutto una quantità sterminata di templi di cui esiste solo la facciata con una porta che si apre su una camera vuota, come se le strie colorate della roccia ne costituissero da sole un arredo.
I templi sono ovunque, scolpiti nella parete di roccia anche molto in alto, raggiungibili con brevi arrampicate, alcuni più definiti, altri già erosi dai venti ma ben riconoscibili. Pian piano affiora la consapevolezza che stiamo vivendo un mistero: abbiamo visto le strade, l’acquedotto, il teatro ed i templi, ma nessuna altra traccia della vita che si è svolta in questa città pietrificata, non case, non oggetti.
Mentre crediamo di essere arrivati al fondo, la guida ci avverte che si prosegue lungo un sentiero ripido lungo quasi un migliaio di scalini; non dice che gli scalini sono intervallati da tratti di ‘semplice’ salita più o meno ripida, né che in alcuni tratti c’è spazio a stento per una persona alla volta, alla nostra destra la parete di roccia, a sinistra un lunghissimo crepaccio ricco di vegetazione!
Qualcuno sale a dorso di asinelli condotti dai beduini allegramente in agguato all’inizio della salita. Ho preferito camminare: certi passaggi dall’alto – si fa per dire – del dorso d’asino sono decisamente vertiginosi … In cima alla salita, una svolta e si apre un altopiano riarso da cui si intravede, oltre il susseguirsi di monti rocciosi, il Mar Rosso, avvolto in una foschia rosata creata dalla sabbia dispersa dal vento.
Credendo che questo sia il ‘gran finale’ dello spettacolo vissuto fin qui, ci voltiamo verso il ritorno e, ancora una volta, restiamo bloccati dalla sorpresa: un’altra facciata di tempio, chiamata ‘il Monastero’ , dal colore olivastro, gigantesca, non lontana da alcune altre ‘minori’ … Poi, a malincuore, ci rassegniamo a ritornare nel mondo normale, portando con noi fantasie, misteri irrisolti, emozioni inspiegabili. Mi sono accorta che tutto questo è legato da un unico elemento assente: il tempo. Là il tempo non esiste.”
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