Etna: la dimora del Dio Efesto, Dio del fuoco terrestre, che con i suoi ciclopi lavora il ferro sacro delle divinità greche. Etna: la forza della natura verso cui i siciliani mostrano timore reverenziale e rispetto. Etna: l’agente incontrollabile che nel corso dei millenni ha minacciato e modificato il territorio (vedi la distruzione di Nicolosi o lo “scacco” al Castello Ursino, o la formazione delle Gole dell’Alcantara o dei Faraglioni dei Ciclopi), ma che al tempo stesso lo ha reso fertile e adatto al proliferare della vegetazione che tutto intorno al Catanese germoglia più brillante che mai.
Questi erano i pensieri che mi balenavano in testa quando decidemmo di fare questa escursione, con la mente piena dei ricordi da bambino di quando mio nonno mi promise che mi avrebbe portato a vedere “un vulcano”, con la mente piena di ricordi dei miti greci che mi appassionavano alle elementari. Arrampicandosi per la “Montagna” (come lo chiamano i siciliani), lentamente la vegetazione verde e rigogliosa lascia spazio ad un paesaggio sempre più desolato e “privo” di vita, segno che un caldo distruttore è stato qui.Mentre percorriamo i tornanti che accompagnano fino alla cima si abbandona il paesaggio terrestre di Catania e si arriva all’allunaggio sul vulcano siciliano: girandosi attorno e volgendo lo sguardo all’orizzonte, complice una spettrale ma alquanto teatrale giornata nuvolosa, ora siamo davvero convinti di essere su un altro pianeta.
Ripensandoci, è stato un bene che quella giornata sia stata così nuvolosa e a rischio pioggia, con il cielo che di tanto in tanto lanciava qualche tuono in segno di sfida, quasi ad aspettare un boato di risposta dal vulcano. Finalmente arriviamo al punto destinato al parcheggio delle macchine e scendiamo alla scoperta di questa nuova luna. Lo spettacolo e il sinistro silenzio interrotto solo da qualche brontolio di un imminente temporale rendono la scena ancor più suggestiva.
E’ pleonastico dire che le eruzioni susseguitesi nel corso dei millenni abbiano fatto terra bruciata tutto attorno a questo fenomenale complesso vulcanico, ma il suolo brullo, che per la conformazione assunta ricorda tante gobbe di cammello e popolato di tanto in tanto solo di qualche arbusto sconosciuto, sono lo spoglio spettacolo che riempie i nostri occhi.
Ci guardiamo attorno con aria meravigliata, dato che era la prima volta per noi sulla cima di un vulcano e un tale spettacolo naturale ci lasciava letteralmente senza parole. La curiosità ci porta piano piano dentro il più grande dei crateri presenti e il pensiero che li dove siamo ora, fino a poco tempo prima usciva del magma incandescente, lascia passare lungo la nostra schiena un brivido gelido.
Proprio in quel punto, qualche tempo prima, saremmo stati ridotti in cenere: è proprio in questi momenti di contemplazione della natura realizzi che “tu homo sapiens, tu e le tue stupide macchine” siete il niente assoluto.
Ogni parola, ogni descrizione sono superflue.
Spesso, quando mi trovo a tu per tu con simili fenomeni rimango in silenzio a gustarmi lo spettacolo e a riflettere, riflettere sulla presunzione umana di essere al centro dell’universo, quando in realtà, l’universo potrebbe fare benissimo a meno della razza umana e basterebbe solo un sussulto della natura per eliminare gli uomini e la loro storia definitivamente.
Se di tanto in tanto ci fermassimo e mettessimo da parte la nostra umana presunzione, forse potremmo cogliere meglio non solo l’essenza delle mastodontiche opere naturali, ma anche l’essenza delle piccole cose.
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